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FELICITA' E BENESSERE
La felicità è un argomento difficile, che sconfina facilmente nella filosofia e nei suoi mille quesiti,
con altrettante possibili risposte. La Costituzione americana garantisce esplicitamente il diritto a
ricercarla, mentre le leggi europee, più consapevoli della complessità del tema e forse legate ad una
cultura maggiormente complessata sull’argomento, non mi risulta che ne facciano menzione.
Raramente gli psicologi hanno affrontato in modo diretto il tema, trattando più spesso, prudentemente,
di benessere. Potrebbe essere utile, per entrare in argomento, provare intanto a costruire una distinzione
tra benessere e felicità. Con il primo intendiamo di solito qualcosa che ha a che fare con percezioni
sensoriali fisiche. Quando non abbiamo troppo freddo, caldo o fame né siamo stressati da eccessivi, o
troppo poveri, stimoli interni o esterni, parliamo di una condizione di benessere.
Un equilibrio fra aspettative e risultati della nostra azione quotidiana sembra essere un ottimo presupposto
del benessere. Poche aspettative e pochi risultati sarebbero equivalenti, in termini di benessere, a molte
aspettative e molti risultati.
Per la felicità entra in gioco anche il senso (inteso questa volta come finalità) della nostra esistenza
e delle azioni che compiamo, che deve essere bello, importante ed elevato. L’attribuzione di senso chiama
in causa un’attività della mente. Per sentirsi felici occorre, infatti, la convinzione di essere coinvolti
in una finalità gradita, significativa e totalizzante. Per questo la ricerca del senso occupa un posto
dominante nella mente e nel cuore d’ogni persona.
Molti si accontentano di un senso che, in ambito religioso, politico, economico o culturale, sia stato
loro attribuito, prestato, o proposto in modo interessato. Finché appare credibile, consente, almeno
momentaneamente, accesso alla felicità. Più spesso spinge ad andare avanti per continuare a cercarla.
Altri, che non si accontentano, provano ad inventarne di nuovi, o ad inventare un modo di vivere in una
vita priva di un senso riconoscibile.
Tutti percorrono il proprio cammino sostenuti da questa specie di chimera che, come l’amore, proprio in
questo modo, sembra realizzare l’essenziale funzione di promuovere il processo della vita.
FELICITA' E DENARO
Dire che il denaro non fa la felicità sembra una frase retorica e un po’ ipocrita, invece, osservando
bene i fatti, si scopre che è…la verità.
Altrimenti i ricchi sarebbero felici, mentre chi li ha conosciuti da vicino sa che non lo sono più degli
altri. E’ verosimile invece che il denaro sia uno strumento per avere potere, com’è altrettanto vero che
aiuta a conquistare e mantenere il benessere fisico.
Sono due cose non da poco, ma felicità, potere e benessere non sono invece sinonimi. Per ottenere un
vissuto di felicità occorrono altri ingredienti.
Scrivevo, in un precedente articolo, che occorre conferire al vissuto stesso un senso importante e
credibile. Aggiungerei ora che quest’attendibilità deve resistere alla prova dei fatti quotidiani.
In altre parole, se attribuiamo un senso importante a mete che una volta raggiunte perderanno valore,
lasciandoci perplessi e delusi, non stiamo costruendo felicità quanto piuttosto illusioni di questa.
Queste illusioni sembra proprio che spingano il mondo, ma non ci consentono di risolvere l’enigma della
felicità. Potremmo pensare allora ad una sorta di forzatura nell’interpretazione dei fatti della vita,
che riesca ad imporre un senso aulico a tutti gli eventi.
E’ la soluzione delle grandi religioni e delle ideologie che, anche nei nostri giorni d’ateismo
sostanziale e di crisi delle grandi idee, rimangono assi portanti. Bisogna crederci.
Si potrebbe altresì pensare che la piena soddisfazione dei bisogni produca felicità. Tutti abbiamo imparato
però che questa ha il fiato corto, lascia sempre il posto ad una nuova insoddisfazione. Le persone spinte
dall’insoddisfazione, e attratte da un’illusione di felicità, portano avanti il mondo, ma non sempre con
gran felicità.
Perdono così contestualmente valore anche i due principali strumenti per la soddisfazione dei bisogni,
spesso accostati alla felicità, che sono, come dicevo, il denaro e il potere.
ALTRUISMO ED EGOISMO
I concetti attraverso i quali tentiamo di comprendere la realtà, e le parole con cui li esprimiamo,
sono nostre rappresentazioni, non sono la realtà stessa. A volte ce ne dimentichiamo. Rappresentazioni
che vanno bene finché non ne troviamo di più aderenti ai fatti.
Siamo così abituati a talune di queste da considerarle ovvie, dimenticando che si tratta soltanto di
simboli con i quali si tenta di descrivere fenomeni reali.
L’egoismo e l’altruismo sono concetti che mi appaiono sempre meno convincenti. Correntemente intendiamo
con queste due parole un complesso di sentimenti, intenzioni e comportamenti volti, nel primo caso, al
privilegio dei bisogni e degli interessi propri, nel secondo, di altri. Si accompagna, di solito, una
connotazione etica positiva per l’altruismo e negativa per l’egoismo. La valutazione positiva dell’egoismo
è rara, e appare uno snobismo.
"Lo faccio per te...". "E’ nell’interesse tuo". "E’ solo per voi che...". Sono espressioni che non mancano
mai quando stiamo realizzando, o tentando di realizzare un "nostro" progetto. Solo poche persone si
sentono di fare a meno di questa mistificazione, riconoscendo a se stessi, e dichiarando apertamente, di
fare il proprio interesse. Il più delle volte cerchiamo di apparire altruisti.
Forse è opportuno, e conveniente, superare questi due concetti e accedere ad una visione più pragmatica
delle cose.
Per rappresentare in modo più convincente i fenomeni che siamo abituati a considerare attraverso le
categorie dell’altruismo e dell’egoismo occorre partire da lontano.
La vita, cosi come la conosciamo, si manifesta attraverso individui verosimilmente distinti gli uni dagli
altri.
Ciascuno per sopravvivere, e sviluppare la vita, deve adoperarsi per soddisfare delle condizioni.
Chiamiamo bisogni queste condizioni vissute soggettivamente. Possono essere biologici, e inderogabili,
come mangiare, respirare, riprodursi; oppure fungibili, psicologici e simbolici come, ad esempio, i bisogni
d’identità: sentirsi bravi, buoni, eleganti ecc..
La vita appare un impegno a soddisfare questi bisogni, e quest’impegno la rende possibile. Ogni individuo
ha il compito di soddisfare istanze, orientate geneticamente e culturalmente, ma vissute come proprie. E’
un compito non da poco. Il suo adempimento è puntualmente rinforzato da processi naturali gratificanti.
Mangiare e riprodursi sono, infatti, compensati con gratificazioni intense. La mancata soddisfazione
d’istanze importanti è invece sanzionata con disagi come la fame, la sete o la frustrazione. La capacità
simbolica, sviluppata nella specie umana, comporta configurazioni di bisogni molto complesse, ma in
definitiva la logica appare la stessa.
Con questo bel compito sulle spalle, appare francamente poco credibile che qualcuno possa impegnarsi, per
puro altruismo, a soddisfare bisogni di altri in contrasto con quelli vissuti come propri. Ovviamente, se
sentiamo il desiderio di affermarci che siamo generosi, o di apparire tali agli altri, può accadere che
spendiamo le nostre migliori energie nell’assistenza ai lebbrosi, ma, in tale caso, a parte il vantaggio
evidente per i lebbrosi, la nostra principale intenzione rimane quella di soddisfare il nostro desiderio
di sentirci nobili e generosi.
In questo modo risulta difficile configurare un autentico altruismo delle intenzioni, così come improprio
classificare come egoista l’intenzione di soddisfare i propri bisogni.
Allora, come può sopravvivere il mondo se ognuno pensa ai fatti propri?
In realtà, in molti casi, i bisogni delle persone sono comuni e complementari, pertanto non c’è un vero
problema. O quasi. Inoltre, la tutela dell’interesse collettivo non va considerata una forma d’altruismo,
poiché questa spesso è il modo migliore salvaguardare anche l’interesse individuale.
Più difficile da risolvere è il caso d’esigenze conflittuali. Di norma tentiamo di far prevalere la
nostra nascondendola sotto la maschera seducente dell’altruismo. Questa però convince sempre meno giacché
è piuttosto difficile immaginare che, in presenza di un conflitto d’interesse, si preferisca privilegiare
quello dell’altro, se non per ricavarne un vantaggio futuro maggiore (in termine d’identità o di ricompensa).
Forse oggi i tempi sono maturi per proporci agli altri rappresentando, in modo aperto e "intelligente" sul
piano negoziale, le nostre istanze. Chi le persegue, infatti, in modo capriccioso, ignorando l’interesse
degli altri, senza cercare i raccordi possibili, prepara intorno a se una condizione di risentimento,
indisponibilità e vendetta, che renderà la propria vita sempre più difficile. Questo vale per gli Stati, le
organizzazioni, gli individui.
Siamo abituati, nel difficile compito di soddisfare i nostri bisogni, ad abusare della maschera dell’altruismo
contando sul potere di seduzione che speriamo abbia sugli altri, inducendoli a comportarsi in modo confacente
ai nostri desideri. Lo facciamo in amore, nelle amicizie, nei rapporti di lavoro. A volte riuscendo ad
ingannare persino noi stessi, ma funziona sempre meno. Conviene imparare ad essere franchi nel perseguire
ciò che vogliamo, pronti alle possibili mediazioni. E’ un’arte difficile, ma penso redditizia.
APPARTENENZA ED AUTONOMIA
Le aspirazioni umane si presentano sempre in forma binomia, nel senso che desideriamo una cosa, ma,
in una qualche misura, anche il suo contrario. Questa consapevolezza rende molto più agevole la
conoscenza di noi stessi e degli altri.
L’ambivalenza nei desideri è un fatto naturale che si scontra soltanto con modelli semplificati della
realtà, che ci vedono orientati in una sola direzione. La principale di queste apparenti contraddizioni
riguarda i bisogni d’autonomia e quelli d’appartenenza. Fin da piccoli, siamo alle prese con l’esigenza
di sentirci protetti e sicuri per la presenza dei nostri genitori e la voglia di sentirci liberi di dare
sfogo alle nostre energie in modo meno controllato.
In alcune fasi della vita un polo del binomio prevale sull’altro. Nell’adolescenza, ad esempio, l’esigenza
di costruire una propria identità spinge a rifiutare legami d’appartenenza che non siano quelli verso
altri adolescenti.
Sposandoci invece creiamo nuove appartenenze e rinunciamo a molte autonomie. Molti però torneranno presto
a sentire la necessità di realizzare spazi autonomi propri e li ricercheranno nei campi sportivi, nel
lavoro o in avventure amorose. Nell’età matura, in genere prevale il desiderio di sentirsi protetti
dall’ambiente familiare.
Alcune persone sentono più stabilmente l’esigenza di appartenere piuttosto che essere autonomi, altri
l’esatto contrario. Tutti dobbiamo però conciliare, nei tempi e nei modi, la presenza concorrente delle
due richieste mentre difficilmente si sfuggirà ad un clamoroso scavalcamento da una all’altra quando la
saturazione del grado di soddisfazione della prima abbia superato i limiti di guardia. E’ caratteristica,
in questi casi, la tendenza a darsi alla "pazza gioia" in soggetti che si sentono liberi dopo essere stati
a lungo repressi.
Forse non siamo sempre pronti ad accogliere serenamente le nostre ambivalenze, ma imparando a riconoscerle,
e rispettarle come fatti naturali, allentiamo molte tensioni e costruiamo un percorso verso il benessere.
I BISOGNI
Il capitolo dei bisogni occupa un posto centrale nell’ambito della Psicologia, in particolare nella
costruzione delle teorie relative alla personalità. In funzione delle esigenze che sentiamo fin da
piccoli avviamo, infatti, la costruzione di quel sistema organizzato che chiamiamo, appunto, personalità.
Un’esigenza è tale in relazione ad una meta, perciò parlare di bisogni senza chiarirla è improprio mentre
possiamo dire che un bisogno è una condizione che deve essere realizzata per conseguire un obiettivo.
Il più evidente obiettivo degli esseri viventi è la sopravvivenza, e lo sviluppo della vita. Qualunque
altro ne appare una funzione. Ciò che deve essere soddisfatto per realizzarlo configura i bisogni. I modi
caratteristici con cui le persone badano a soddisfarli disegnano le differenti personalità. Il bisogno
inderogabile, non fungibile, diviene necessità mentre chiamiamo desideri i bisogni opzionali.
Rispetto ad un obiettivo si possono costruire delle scale di priorità stabili relative ai bisogni, ma
questo non è più possibile riferendosi invece alla percezione degli stessi, che ha un evidente andamento
ciclico: quelli soddisfatti si avvertono poco mentre quelli insoddisfatti si fanno sentire tanto. Poiché
l’attenzione finisce fatalmente su questi ultimi, noi siamo sovente insoddisfatti, e quindi ci adoperiamo
per soddisfare nuovi bisogni.
A guardare le cose in questo modo, sembra proprio un "programmino", semplice e geniale, per realizzare la
vita attraverso l’incessante attività degli esseri viventi spinti dalla propria insoddisfazione. E noi,
dobbiamo stare al gioco, e sentirci perennemente insoddisfatti? Come parte del gioco, siamo interessati
alle sue finalità e quindi dobbiamo starci. Come individui, consapevoli del gioco, possiamo provare a
realizzare una magia: sentirci insoddisfatti e…felici.
IL SENSO
Gli psicologi si sono più volte impegnati nel tentativo di costruire scale gerarchiche di bisogni
psichici, in cui poter ordinare le esigenze sentite dalle persone selezionandone l’importanza.
Ho sempre dubitato della validità di questi strumenti. Ritengo, infatti, che la rilevanza di un bisogno,
più che dal contenuto, dipenda dal suo grado di saturazione, I bisogni soddisfatti si sentono poco mentre
quelli insoddisfatti diventano importanti, indipendentemente dal loro contenuto d’effettiva necessità.
Volendo in ogni modo trovare delle priorità, metterei al primo posto il bisogno di senso, in altre parole
di una finalità generale, oltre quelle immediate. Vale a dire che il mouse serve per dare comandi al
computer, al fine di realizzare….
E’ importante, per il benessere e l’equilibrio, individuare il senso delle azioni, degli affetti,
dell’impegno, della propria vita, e più ancora, della vita. Le religioni, la politica, il potere, il
sesso, il denaro sono i supporti migliori per la ricerca dal senso.
Gli uomini hanno costruito la storia spinti dal bisogno di dare un senso, sacro, importante, o solo
ludico, alla propria esistenza, Il bisogno di senso, come tutti gli altri, finisce con essere un driver
che spinge gli individui a realizzare la vita.
Il senso non si lega direttamente alle cose o agli eventi, ma passa per i significati che noi attribuiamo
loro, quindi varia con gli individui e le culture mentre, come la lepre finta nel cinodromo, sfugge sempre.
Non tutti sentono, in maniera immediata, il bisogno di ricercare un senso. Molti vivono, presi magari da
mille impegni, apparentemente inconsapevoli anche delle finalità più prossime, oltre che di quelle ultime. Forse, per loro, l’azione inarrestabile è una risposta, o una fuga dalla domanda di senso che stenta a trovare risposte credibili.
Fin qui la psicologia, mentre, ovviamente, la domanda relativa a quale sia il senso vero o ultimo delle
cose, o della vita stessa, è competenza della filosofia.
IDEALISTI E PRAGMATICI
Consideriamo di solito la realtà da due angolazioni diverse: idealista o pragmatica.
Nel primo caso abbiamo in mente una realtà come "vorremmo che fosse" oppure come "dovrebbe essere" o
ancora "come sarebbe bene che fosse". Nel secondo, invece, come "è". La differenza non è da poco.
Ponendoci nell'ottica che, per semplicità, ho chiamato idealista, le nostre aspettative fanno riferimento
ad un mondo virtuale che non ha di fatto riscontro nella nostra storia né nell'esperienza quotidiana.
E' il mondo dei sogni, etico e razionale, vale a dire un altro rispetto a quello che osserviamo ogni
giorno. Le caratteristiche di questo mondo variano ovviamente in relazione al tipo d'aspirazioni, d'etica
e di razionalità. Come valutare questo modo di vedere le cose?
Se proviamo, sempre per semplicità, a selezionare vantaggi e svantaggi di tipo pratico (sic! Perdonatemi l
a scivolata verso il pragmatismo), possiamo dire che permette di considerare possibile una prospettiva
altrimenti irreale, come se fosse ragionevolmente a portata di mano; di negare la complessità e le
contraddizioni del mondo; in definitiva, di sfumare i limiti fra sogno e realtà. Può essere un gran
conforto.
Lo svantaggio principale consiste nell'irriducibile gap che la realtà presenta rispetto al sogno, per cui
la prima ci apparirà sempre carente, e l'idealista, per conseguenza, inevitabilmente insoddisfatto.
L'ottica pragmatica, alla quale spesso erroneamente è addebitato un po' di cinismo, considera i fatti,
o almeno quelli che appaiono ragionevolmente tali, come i paletti entro i quali costruire il senso da
attribuire alla realtà.
Dentro questi limiti, angusti, ma concreti, il pragmatico sceglie ciò che gli piace e prova ad evitare
quanto gli è sgradito. E' proprio questa scelta, guidata dal gusto, che conferisce senso alle cose e alle
esperienze.
Quali i vantaggi?
In primo luogo, si evitano frequenti delusioni, poiché le aspettative sono allineate a previsioni
confortate dai fatti.
Si gustano più facilmente le gioie disponibili della vita.
D'altra parte, risulta necessario un passo difficile e, per molti, doloroso: accettare i limiti propri,
degli altri e della vita.
Naturalmente quasi nessuno fa la propria scelta di campo, fra idealismo e realismo, in conformità a
considerazioni di carattere pratico, ma in conseguenza d'istanze ben più profonde, e spesso inconsapevoli,
che lo fanno sentire a proprio agio da una parte piuttosto che dall'altra.
Sono più felici gli idealisti o i pragmatici?
Si può vivere bene o male in entrambi i casi.