emozioni e sentimenti
LA GELOSIA
L’attaccamento alle
proprie cose, alle persone vissute come proprie, alle opportunità che
pensiamo di avere, si chiama gelosia. E’ un sentimento che delimita ciò
che appartiene da ciò che è invece indifferente o estraneo. Come tale ha
un’importante funzione nella mappa affettiva che orienta la nostra
mente.
E’ un sentimento comune e naturale che condividiamo con molte specie
animali, mentre la declinazione nei significati e nei comportamenti di
ciascuno di noi può invece essere molto diversa. Vale a dire che quando
si prova un sentimento di gelosia si può utilizzare, nell’ambito
dell’organizzazione della personalità, in modo diverso, dando luogo a
comportamenti differenti.
I sentimenti, come le emozioni, possono, infatti, essere utilizzati
almeno in due modi diversi: per sostenere azioni opportune, o per
"trastullarsi", stimolare, cioè, la propria vita emozionale. La gelosia
non fa eccezione.
Se "toccano" qualcosa di mio, sento gelosia e reagisco in modo adeguato
al contesto. Oppure utilizzo la gelosia per attivare la mia vita
emozionale: eccitarmi, arrabbiarmi, addolorarmi, straziarmi… O anche
sostenere dei significati utili all’economia della mia psiche, e mi
dico: l’oggetto del mio amore vale, per cui anche altri lo desiderano;
se altri vogliono le mie cose, vuol dire che sono importanti; se il mio
amore mi tradisce, vuol dire che non valgo nulla…
Il sentimento della gelosia concentra l’attenzione sull’oggetto, perciò
il mondo del geloso si restringe e la sua dipendenza dall’oggetto è
evidente.
La gelosia non è separabile da un forte investimento di valore, e quindi
emozionale su un oggetto (persona o cosa) mentre è più facile gestire
adeguatamente questo sentimento quando gli investimenti e gli interessi
sono diversificati.
L’evoluzione dei modelli di vita sociale ha molto cambiato i
comportamenti generati dalla gelosia, e penso che ancora di più li
cambierà nei prossimi anni.
L'INNAMORAMENTO
Capita che un desiderio
disponga di noi, allora diciamo che siamo innamorati. Altrimenti disponiamo
dei desideri per conoscere cosa abbia valore per noi e dove dirigerci.
Nell’amore, negli affetti o nell’amicizia possediamo dei desideri,
nell’innamoramento il desiderio possiede noi.
Recenti ricerche hanno ipotizzato che, nel periodo d’innamoramento, si
attenuino, per via biochimica, le capacità critiche e razionali.
Il desiderio dell’innamorato è saziabile solo per tempi brevissimi, quelli
in cui riesce a vedere nell’altro la fonte della propria felicità.
Questa suggestione è talmente seducente che resiste a lungo, anche quando i
fatti quotidianamente la disconfermino. Gli occhi dell’innamorato si fanno
però mesti e assenti, finché un istante d’illusione non li illumini in un
attimo, per un attimo.
Sembra un’ironia, ma la condizione dell’innamorato è spesso un po’ buffa
agli occhi di coloro che in quel momento ne sono indenni.
Altre ricerche indicano in diciotto mesi l’arco di tempo massimo in cui
insistono le modificazioni biochimiche proprie dell’innamoramento.
L’esperienza di questo sentimento si esaurisce con la conquista dell’oggetto
ispiratore o con la perdita della speranza di poterlo raggiungere.
La conquista dimostra che la felicità, cui l’innamorato agognava, non è
stata trovata, perciò, in molti casi, ci si orienta verso obiettivi più
concreti: matrimoni, figli, affari. Quando il sovraccarico depressivo
derivante dall’eccesso di concretezza si farà intollerabile ci s’innamorerà
di nuovo.
La perdita della speranza segue di solito un’esperienza traumatica in cui
non si è potuto negare ulteriormente l’evidenza dei fatti. Sono in genere
momenti duri, a volte però anche liberatori.
La partita che si gioca in questo sentimento prevede due ruoli diversi:
l’inseguitore e l’inseguito. Solo il primo è il vero innamorato. Nel
processo della vita, l’innamoramento consente di operare cambiamenti che in
altre condizioni non saremmo capaci di compiere.
LA RABBIA
Quando il nostro
cuore e la nostra mente reagiscono ad un evento, diciamo allora che
stiamo provando un’emozione. Se il sangue bolle e le mascelle si
contraggono mentre i pensieri corrono ad immagini di lotta o di
vendetta, l’emozione che stiamo provando si chiama rabbia. Di solito ci
arrabbiamo per un evento che vediamo come un danno o una svalutazione.
Accade quando un amico parla male di noi ingiustamente, mettendoci in
cattiva luce con persone importanti, o dice una battuta mostrando a
tutti una nostra debolezza.
L’emozione rabbia è utile al fine di attivare le energie necessarie per
affrontare e, se possibile, cambiare situazioni sgradite. Quando siamo
pressati dalla rabbia ciò che facciamo può essere corretto, improduttivo
o dannoso, in relazione al risultato delle nostre azioni.
Che cosa possiamo fare quando siamo arrabbiati? In primo luogo possiamo
lottare. E’ una reazione istintiva e primordiale.
Se ci stanno aggredendo fisicamente, può essere l’unica valida, dopo
aver valutato la forza dell’avversario. A volte è infatti meglio fuggire
spinti da una sana paura.
Possiamo altresì usare la rabbia per chiedere cambiamenti in modo chiaro
e assertivo. E’ un comportamento efficace, a patto che si sia espliciti
circa l’evento che si considera dannoso – "quando tu ritardi mezz’ora
agli appuntamenti, io perdo inutilmente tempo (danno) e sento di non
contare nulla per te (svalutazione) - nonché altrettanto chiari ed
espliciti su ciò che chiediamo – pertanto ti chiedo d’essere puntuale!".
Imparare questo costruttivo modo d’uso della rabbia può favorire
l’espressione in coloro che se la vietano, considerandola, in ogni caso
pericolosa e distruttiva.
I ritardi dell’amico nell’esempio precedente possono essere in relazione
a scelte profonde e inconsapevoli, in questo caso li vedremo certamente
ripetersi. La questione può allora risolversi solo con una gestione
saggia ed adulta: accettare i limiti e la personalità dell’altro,
contenendo i danni per noi.
Possiamo considerare improduttiva la rabbia che ci teniamo dentro senza
cambiare o accettare gli eventi sgraditi.
Taluni coltivano rancori e risentimenti per lunghi periodi fino a farne
il sapore fondamentale della propria esistenza, l’angolo dove
rifugiarsi, buio, ma conosciuto e rassicurante.
Altri, invece, esprimono la rabbia come se fosse l’unica emozione
possibile. Un amico che ho frequentato per lungo tempo si mostrava
arrabbiato sia quando era triste o impaurito, e non voleva che gli altri
lo sapessero, sia quando era verosimilmente allegro e gioioso, ma
sospettoso di ciò che gli altri potessero pensare di lui.
Singolare la situazione di colui che diventa il personaggio della
rabbia. E’ il "giusto incazzato": appare perennemente scontento, tutto
per lui è sempre sbagliato e da rifare, oppure, negando la complessità e
le diverse interpretazioni possibili dei fatti della vita, si pone alla
guida di un movimento e si oppone, sempre sacrosantamente "incazzato" ai
soprusi ed alle ingiustizie, reali o immaginarie.
La società deve probabilmente molto alla loro perseveranza per la
soluzione d’importanti problemi, ma certamente si tratta di un modo
limitante ed unilaterale di vedere le esperienze della vita.
In conclusione, la rabbia può essere un’amica naturale e sostenerci nei
confronti quotidiani così come ha sostenuto i nostri antenati nelle
lotte contro animali feroci o nemici in battaglia. L’importante è
evitare di confondere l’uso che faremmo della rabbia in una battaglia
con quello opportuno per i nostri più complessi rapporti sociali.
AMORE E POTERE
"Comandare è meglio
di f…... "afferma un detto popolare pieno di consapevolezza. Come dire
che il potere è all’apice dei desideri, e deve avere un qualche rapporto
con l'amore e con il sesso.
Il tema del potere, a lungo connotato ideologicamente, in effetti merita
un esame pragmatico che ne definisca i contorni reali e pratici, almeno
nelle relazioni private.
Gli psicologi hanno a lungo trascurato, paradossalmente, l’amore e il
potere, forse perché sono le chiavi della vita psichica e pochi se la
sono sentita di affrontare il nocciolo di tutte le questioni.
In questa rubrica, ho proposto qualche riflessione sull’amore, e
torneremo sicuramente sull’argomento che appare davvero inesauribile.
Proverò ora a fare qualche considerazione sul potere.
Possiamo affermare che il potere è la capacità di soddisfare i propri
bisogni. Ha più potere chi si trova nella condizione più favorevole per
far prevalere la propria aspirazione rispetto a quella di altri.
Il potere può essere concreto e supportato da una forza fisica, oppure
psicologico, legato alla percezione reciproca dei bisogni.
In qualsiasi relazione tende ad avere più potere chi ha, o percepisce,
meno bisogni.
L’amore, quando inteso come sentimento altruista, è un concetto che
serve ad attenuare la durezza della matematica del potere, non so se
esista davvero come sentimento, o sia solo un concetto.
Nelle relazioni amorose, quelle caratterizzate dal desiderio, l’ampiezza
del proprio tende a consegnare potere al partner, che in relazione alla
propria percezione lo userà secondo il proprio stile personale.
Le leggi e le norme servono apposta per temperare gli squilibri di
potere fra i soggetti che si trovano invece in relazione d’interesse.
Le relazioni d’amore sono caratterizzate dal fatto che l’oggetto del
desiderio, e del contendere, è l’altro. In quelle d’interesse, è un
oggetto terzo.
Il potere è in qualche modo l’interfaccia dell’amore (inteso come
desiderio).
Non è un sentimento, è un’opportunità, una potenzialità, che può essere
fruita o meno.
AMORE (E BATTAGLIE)
"In
battaglie d’amor vince chi fugge". Questo si sa, ma cosa decide chi
insegue, e chi fugge?
La "prova del fuoco".
All’inizio, i due vanno uno verso l’altro. Prevale la ricerca del
piacere, il gioco è ludico.
Poi, uno si ferma, fa un passo indietro, l’altro si sgomenta e… lo
insegue.
Se l’inseguimento si ripete ancora una o due volte, i ruoli reciproci
sono decisi. Il gioco è fatto.
Oppure, l’altro resta immobile o fa, a sua volta, un passo indietro.
Si possono allora avere: la rottura del rapporto, poiché nessuno dei due
ha superato la prova, oppure un capovolgimento della situazione, ove il
primo, che aveva osato indietreggiare, in relazione alla reazione
dell’altro, non riesce a sostenere la propria mossa e, a sua volta,
inizia un inseguimento.
Anche in questo caso, di solito, il gioco è fatto.
Il passo indietro si fa attraverso un silenzio, una stranezza,
un’incoerenza o una cattiveria.
Perché si sottopone l’altro a questa prova? Per verificare se potremo
contare su di lui oltre i limiti della reciprocità, cioè per stabilire
chi guiderà o comanderà e chi invece pagherà i conti. E soprattutto, chi
soffrirà.
Il gioco amoroso, da ludico, diviene gioco di potere.
Si fa per proteggere la propria insicurezza o per dare sfogo alla
prepotenza, ma anche, come direbbe un antropologo, per garantire un
genitore davvero affidabile per i propri figli.
Le vicende descritte accadono, comunemente, al di fuori della piena
consapevolezza degli interessati, che le attuano guidati da programmi
biologici e culturali arcaici.
L'INVIDIA
L’invidia è
considerata un sentimento disdicevole. L’invidioso, d’altra parte, si
comporta spesso in modo antipatico. Appare ombroso, viscido e
maldicente, in contrasto con la solarità del più fortunato invidiato.
Tutti noi, pertanto, siamo portati a pensare che l’invidia sia un
sentimento di bassa lega. E’ bene però ragionarci un po’ sopra.
Parliamo abitualmente di sentimenti "buoni" e "cattivi", come se
l’evoluzione avesse selezionato adattamenti positivi e negativi, mentre
è più ragionevole pensare che questi siano né buoni né cattivi, quanto
piuttosto tutti funzionali allo sviluppo della vita.
L’invidia ha una sua funzione: mobilita energie con riferimento ai
migliori. Contribuisce così a riequilibrare lo sviluppo degli individui
e a contenere le distanze fra loro.
Altro discorso è cosa facciamo di queste energie. Le impieghiamo per
migliorarci o per intralciare i migliori? Qui si pone allora una
questione etica, ma anche razionale, di buoni o cattivi comportamenti, o
meglio di azioni costruttive e distruttive.
Ciò vale ovviamente per tutti i sentimenti, e per le emozioni. Ciò che
proviamo non implica, infatti, una responsabilità diretta, che appare
invece evidente in relazione agli obiettivi e ai modi delle azioni che
mettiamo in atto, spinti da questi sentimenti Quindi non un sentimento
disdicevole in se, ma un sentire che può dare luogo ad atti discutibili.
Le emozioni e sentimenti ci fanno conoscere la risonanza che un evento,
o una persona, ha dentro di noi mentre rendono disponibili energie per
agire in funzione di questa risonanza.
L’invidia ci parla delle qualità che desidereremmo avere, come delle
cose che vorremmo possedere. Se la sappiamo accogliere in un’ottica
costruttiva, ci può dare energia fino, magari, a raggiungere queste
qualità o cose.
Ponendoci in un atteggiamento distruttivo, l’energia sarebbe utilizzata
per ridurre il vantaggio che vediamo nell’altro, togliendo a lui
qualcosa piuttosto che aggiungerla a noi.
AMORE (E SOFFERENZA)
Siamo abituati a
considerare l’amore un mistero. Ci accontentiamo di sapere ciò che
appare ovvio mentre affidiamo ogni ulteriore conoscenza ai miti, fin
troppo ingannevoli, della cultura romantica dell’ottocento. Persino gli
esperti hanno disertato a lungo l’argomento, eppure i fatti amorosi
rendono bella, o brutta, la nostra vita più di molti altri, perciò una
riflessione appare appropriata.
Provare a chiarire il senso (la finalità) del sentimento amoroso non è
cosa che si possa fare in poche righe, si può invece considerarne un
aspetto e tentare di affermare qualcosa che... stia in piedi.
L’esperienza di psicoterapia, oltre quella personale, mi conferma un
diffuso interesse circa la possibilità di contenere la sofferenza
amorosa. E’ un aspetto che vale la pena di approfondire, in questo e in
successivi articoli.
Ripensando alle storie d’amore che conosciamo, di solito, accanto alla
felicità, troviamo dolorose rincorse di mete irraggiungibili e sordi, o
furiosi, risentimenti.
La sofferenza amorosa è vecchia come la storia dell’uomo e non sembra
siano state proposte finora cure veramente efficaci. Si può fare però
qualcosa di più sul piano della… prevenzione.
In amore si soffre per un’attesa delusa.
Forse la porta d’ingresso del disagio è proprio la qualità delle
aspettative.
Chi ama, e più ancora chi s’innamora, ha dei desideri. Non potrebbe
essere altrimenti, poiché il gran coinvolgimento che accompagna queste
vicende, è dato proprio dal fatto che sono in gioco nostre aspirazioni
profonde.
Presentarsi all’appuntamento della partita amorosa prendendo troppo sul
serio la possibilità di dare piena risposta a queste, pur legittime,
aspirazioni può risultare un comportamento…a rischio. Non tanto perché
questo mondo sia una valle di lacrime, o a causa della cattiveria e
follia del partner, quanto poiché non abbiamo, forse, abbastanza
riflettuto circa il tipo di partita che stiamo giocando.
Il "problema" è che la persona amata ha, anche lei, delle legittime
aspettative mentre non è per niente detto che siano complementari alle
nostre, o che lo siano nella misura capace di soddisfare in pieno i
nostri desideri. Ammesso che continueremmo a sentirci innamorati se
questi fossero completamente soddisfatti.
Complica le cose il fatto che non sempre i desideri sono vissuti con
carattere di reciprocità: voglio che tu sia "tutta" mia; non desidero
però essere proprio "tutto" tuo.
Diviene allora necessario giocare una partita. Come in tutte le partite
sarebbe comico pensare che l’altro giocatore giochi per far vincere noi,
anche se proprio questo sembra essere il sogno dell’innamorato. Il gioco
interessa entrambi, ma ciascuno gioca per se.
Chi ama vede troppo spesso questo "essere altro" del partner come un
insulto alla bellezza dell’amore e ne soffre, con rabbia o con dolore.
Per soffrire meno, bisogna quindi amare meno? Forse. Oppure correggere
l’aspettativa che l’amore possa essere una cosa ci aiuti a prendere
sonno…
SENTIMENTI E RISENTIMENTI
Proviamo un sentimento
verso un "oggetto" (persona, cosa o situazione) quando questo ci appare
gradito e desiderato, o l’esatto contrario. Stiamo parlando, ad esempio,
dell’amore e dell’odio. Ogni sentimento ha un’aspirazione: possedere,
toccare, manipolare oppure allontanare, distruggere. Le aspirazioni deluse
danno luogo ad un risentimento.
I sentimenti e i risentimenti sostengono le relazioni, con una differenza. I
primi spingono ad agire, i secondi alla passività.
L’amore e l’odio sono sentimenti che rendono attivi per conquistare e
mantenere oppure sconfiggere e annullare. Hanno in comune il relativo
risentimento che chiamiamo rancore.
Come può avvenire che l’amore o l’odio si trasformino in rancore?
Accade quando le aspirazioni che attivavano il sentimento non trovano
riscontro coerente in tutte le manifestazioni dell’altro. Cosa che ricorre
con una certa facilità proprio perché quest’ultimo è "altro" rispetto alle
aspirazioni suddette, che sono invece "tutt’uno" col titolare del
sentimento.
Nessuno appare più colpevole di chi non condivide le nostre aspirazioni,
pertanto il risentimento, che nasce da questa delusione, fatalmente assume
una forma incriminante.
I rancorosi restano attaccati, non vanno per la loro strada, sono passivi e
ostacolanti, a volte deperiscono fisicamente.
Cosa si può fare per evitare questo rischio di... deperire?
La soluzione non è né facile né spontanea: occorre imparare a dare minore
importanza ai propri desideri "progressi" e maggiore a quanto di gradito
troviamo nell’altro. Chi riesce soffre meno e gioisce di più, quindi
difficilmente se ne pente.
Cosa fare invece per gestire una persona risentita?
Se il risentimento è un suo stato d’animo abituale e preferito, c’è poco da
fare: meglio ignorare e frequentare persone diverse. Se invece non è così
grave, si può provare con un sorriso in più.
IL RANCORE
L'amore può
esistere senza l'odio e viceversa. La domanda presuppone una buona
consapevolezza circa la complessità dei fatti affettivi. In primo luogo,
occorre riconoscere che difficilmente proviamo un solo sentimento per
volta, ma che il nostro sentire fa più spesso riferimento ad in mix
d'affetti diversi, anche contrastanti. Accostare amore e odio rivela
come questi due sentimenti siano frequentemente le facce di una stessa
medaglia. Sono, infatti, sostenuti da uno stesso desiderio, che può
essere accolto o respinto.
All'amore deluso subentra il rancore (risentimento), che si manifesta
con un'ostentata passività indispettita, ma la delusione può anche dare
luogo ad una reazione attiva, sostenuta dall'odio (sentimento). La
questione evidentemente si complica, pertanto proverò a facilitarene la
comprensione attraverso uno schema, anche se la realtà abitualmente non
si propone con un andamento così semplificato. Diciamo che: quando ho un
desiderio relativo ad un oggetto (persona, cosa o situazione) provo
amore verso lo stesso mentre credo che la mia aspirazione sarà accolta,
e odio quando non ci credo. Nel frattempo sono attivo con modi che sono
insieme affettivi e aggressivi. Se perdo fiducia, l'amore e l'odio si
trasformano in rancore e passività.
Certo il mio vissuto sarà sfumato da considerazioni di buon senso.
educazione e razionalità, ma i sentimenti e i risentimenti saranno in
sostanza quelli indicati. E se acquisto invece maggiore fiducia? Cresce
allora la situazione di benessere in relazione a quell'oggetto: il
sentimento si attenua (sosteneva la ricerca di qualcosa che sto
trovando), subentra piacere, appagamento, serenità e... possibilità di
dedicarsi ad altre cose, senza dover interrompere il feeling con le
prime.
E' la situazione che comunemente noi romani sperimentiamo verso la
rosetta, il pane di Roma. Essendo facilmente disponibile, la mangiamo
con piacere tutti i giorni senza avvertire particolari coinvolgimenti,
che invece potrebbero farsi più evidenti nel caso di uno sciopero di tre
giorni dei fornai, o più semplicemente se manchiamo dalla nostra città
per un po' di tempo.
EMOZIONI, SENTIMENTI E STATI D'ANIMO
Qual’è la
differenza fra sentimenti ed emozioni?
Questi vissuti sono
un po’ il "sale" della vita, perciò la domanda è un ottimo spunto per
approfondire distinzioni di significato che spesso risultano trascurate
mentre sono molto utili per una migliore comprensione dei fatti emotivi.
Con emozione (moto dell’animo) indichiamo ciò che proviamo reagendo ad
uno stimolo, anzi meglio al significato che attribuiamo allo stesso.
Abbiamo quindi il riconoscimento del valore da noi attribuito ad un
evento e immediatamente una risposta emotiva che interessa il nostro
corpo.
Il senso (la finalità) più evidente delle emozioni appare quello di
stimolare un’adeguata reazione comportamentale. Mi accorgo di un
pericolo, provo paura, scappo, chiedo aiuto o mi difendo. Un evento mi
apre nuove interessanti opportunità, provo gioia e corro a condividerla
con i miei amici più cari.
Esistono altresì fenomeni reattivi molto rapidi, essenziali per la
sopravvivenza, attraverso i quali reagiamo anche prima di un
riconoscimento, pienamente cosciente, degli stimoli, ma in questi casi
non parliamo propriamente di emozioni.
Ci siamo specificamente occupati negli articoli apparsi le scorse
settimane delle principali emozioni (paura, rabbia, dolore e gioia), ora
vale la pena di affermare che le stesse hanno un carattere individuale
sia nell’attribuzione del significato conferito agli eventi stimolo sia
nell’intensità, e modo, della riposta corporea.
Mentre le emozioni puntualizzano la nostra reattività agli eventi della
vita, i sentimenti accompagnano in maniera più duratura gli investimenti
affettivi che operiamo intorno a noi. Chiamiamo, infatti, sentimento ciò
che proviamo verso un "oggetto", persona, cosa o situazione che assuma
un valore relativamente stabile per noi, o meglio, in relazione ai
nostri bisogni e desideri. Sono sentimenti l’amore, l’innamoramento,
l’odio, l’invidia, la gelosia. La funzione dei sentimenti appare
verosimilmente quella di sostenere questi investimenti.
Per chi apprezza le metafore informatiche, i sentimenti sono, di solito,
come delle icone, presenti con discrezione se stiamo vivendo altre
esperienze o ci stiamo occupando di altro, ma attivabili facilmente
qualora la situazione lo renda opportuno. Quando un sentimento invade
prepotentemente la nostra vita parliamo di una passione.
Gli stati d’animo hanno apparentemente una natura più rarefatta mentre
sono importantissimi poiché accompagnano emotivamente il senso che
attribuiamo alle situazioni ed in definitiva alla vita stessa. Sono
coerenti con le nostre opinioni e decisioni più profonde e spesso, come
queste, sono stabili e impermeabili. Se i nostri stati d’animo abituali
non ci piacciono, sono probabilmente proprio le opinioni e decisioni
centrali che dobbiamo verificare, magari con la consulenza di un
esperto.
Imparare a riconoscere i vari aspetti della vita emozionale aiuta a
gustarla meglio, un po’…come imparare a gestire il sale in cucina.
L'AMORE
Quando in una
conversazione dico che mi occupo di sentimenti, so già quale sarà la domanda
che mi sarà rivolta di lì a poco: "Che cosa è l’amore?". Domanda che non è
esattamente come chiedere: "Che ore sono?".
Ogni forma di conoscenza ha un carattere arbitrario, relativo alla
soggettività di chi la costruisce. La conoscenza relativa all’amore sconta
questa soggettività più di quanto non avvenga per ogni altro argomento.
L’amore è un processo che vede coinvolti due, o più, soggetti in pensieri,
sentimenti e azioni. Per capire il senso e gli avvenimenti di questo
processo, occorre innanzi tutto stabilire chi sia il "soggetto".
Può essere: la natura, che, per i suoi fini, attraverso l’amore, spinge gli
uomini a…
Amore, entità metafisica capace di colpire le menti e i cuori, che modifica
il corso della vita dei fortunati, o malcapitati, a suo piacimento; le
persone coinvolte, come solo la proiezione dei propri desideri su un’altra
persona può coinvolgere, che agiscono in funzione dei propri desideri.
Queste ultime appaiono come i soggetti più reali e concreti. Soggetti
parzialmente autonomi, orientati dalla natura verso percorsi amorosi
affettivi e sessuali, in parte codificati dai geni e dalla cultura.
Se i soggetti sono le persone interessate, in prima istanza è verosimile che
queste agiscano in funzione di proprie aspirazioni soggettive, o almeno cosi
vivono i programmi che la natura ha messo dentro di loro.
Che cosa fanno le persone in amore? Desiderano, anelano, cercano qualcosa
che evidentemente pensano di non avere, o di non avere appieno.
Fino a quando? Fino a quando non la ottengono, allora si sentono sazi, e la
sazietà satura l’amore che può divenire affetto o indifferenza..
Quando invece si rendono conto che non riusciranno ad ottenerla, il
risentimento e l’odio prendono il posto l’amore.
Cosa si desidera in amore? Ciò che, siamo convinti, ci renderà felici per
sempre.
Ma l’amore è più vicino all’altruismo o all’egoismo? Anche se tutti i
seduttori affermano "lo faccio per te", è più verosimile che lo facciano
per…se.
LA GIOIA
Le emozioni ci spingono
ad agire per soddisfare i nostri bisogni e desideri. La rabbia ci fornisce
la forza per difendere i nostri interessi; la paura dona velocità alla fuga
da seri pericoli, o c’induce a chiedere aiuto per fronteggiarli. Infine il
dolore e la tristezza ricordano che il vuoto lasciato da chi abbiamo amato
chiede di essere riempito.
Queste emozioni sono importanti ed essenziali, ma non si può affermare che
siano esattamente piacevoli.
Ora, invece, prendiamo in considerazione un’esperienza dichiaratamente
godibile: la gioia.
Quest’emozione va considerata – a mio avviso – distinta dallo stato di
soddisfazione, che si prova quando un bisogno o un desiderio sono stati
soddisfatti.
La gioia sollecita, infatti, nuove azioni piuttosto che prendere atto di
quelle già compiute con successo. Attiva la mente ed il corpo per "andare
avanti". Si prova quando un evento, a lungo ricercato o improvviso, risulta
favorevole alla realizzazione di un obiettivo importante o di un sogno.
Grande è la gioia di colui che consegue una laurea e pensa alla possibilità
di una brillante carriera in una vita adulta ed indipendente. Ricevere
un’eredità che moltiplichi le nostre possibilità economiche, incontrare uno
sguardo che prometta piacevoli disponibilità future o scoprire in un libro
risposte ad antichi interrogativi suscita quell’emozione che può darci
l’energia e la voglia di cogliere le opportunità che si presentino.
La gioia si accompagna naturalmente al desiderio di condividere con le
persone vicine le buone novità: "Sai mi sposo", "ho un nuovo lavoro", "ho
vinto alla lotteria".
Ciò è molto importante poiché, se la gioia ci spinge ad andare avanti, è
opportuno comunicare agli altri il nostro desiderio di portarli con noi
piuttosto che lasciarli indietro.
La preoccupazione per azioni malvagie di altri spinti da invidia o
competitività, induce molti a tenere la gioia dentro di sé trovando più
prudente mostrarsi indifferenti, scontenti o preoccupati.
Alcune persone, forse in attesa di essere compensate con una gioia futura
più grande, accettano quei messaggi della nostra cultura che colpevolizzano
il piacere e la gioia mentre si sforzano di nasconderla anche a se stessi.
Per accedere pienamente alla gioia, occorre accettare che la propria
crescita può lasciare momentaneamente indietro altri mentre quella altrui
può farci sentire in svantaggio. Se la gioia punteggia la crescita di una
persona, questa ha maggiori possibilità di autorizzarsi a viverla assumendo
la convinzione che valorizzare la propria esperienza e cogliere le
opportunità è meglio che rimpiangere ciò che avremmo potuto fare per noi
stessi e per gli altri. Coloro che si orientano in questo modo di solito
hanno gran fascino e riescono a suscitare, attraverso i loro autentici
inviti alla condivisione della propria gioia, più ammirazione che invidia.
E i buontemponi che ridono sempre? Meglio diffidare. A questo mondo non mi
sembra che ci sia sempre da ridere. Lo sanno bene i confidenti e gli
psicoterapeuti che si prendono cura, per amicizia o per mestiere, della
depressione nascosta di queste maschere dell’allegria.
Per fortuna, molte persone, seguendo un positivo evolversi della nostra
cultura, mi sembra stiano imparando a gioire schiettamente delle nuove
opportunità. Sta a noi scegliere di essere fra queste.
LA PAURA
La mente e il corpo
reagiscono agli stimoli con un insieme di sensazioni che assumono per noi un
significato. Chiamiamo emozione, moto dell’animo, questa esperienza.
I più comuni segnali di quell’emozione a cui abbiamo dato il nome di paura
sono noti a tutti: tremori, rigidità muscolare, secchezza delle fauci,
pallore, sudorazione.
La paura è l’emozione che ci avverte di un pericolo sollecitandoci ad
intervenire per proteggerci e difenderci, pertanto è utile, anzi necessaria.
Se non ci fosse, saremmo portati a correre con indifferenza gravi rischi e
la nostra stessa sopravvivenza potrebbe risultare compromessa. Provate
infatti ad immaginarvi alla guida di un’auto completamente privi della
paura: al primo semaforo potrebbe anche andar bene, al secondo… forse, al
terzo!…
Gli uomini senza paura hanno lunga vita solo nei film.
Come una spia luminosa, la paura ci segnala pericoli evidenti e nascosti
spingendoci a ricercare una difesa adeguata.
Quanti modi abbiamo per provvedere quando ci appare il segnale di questa
spia luminosa? Almeno tre. Il primo è scappare: la fuga è la risposta più
immediata di fronte ad un pericolo imminente, ed in molti casi risulta
appropriata ed efficace. Se siamo aggrediti da chi è più forte di noi, tanto
da rendere inutile ogni difesa, la fuga consente di salvaguardare la nostra
integrità. Possiamo per altro, allo stesso modo, sfuggire situazioni sociali
o circostanze che comportino gravi rischi per noi.
In molti casi una difesa è possibile a patto di non ostinarci a contare solo
sulle nostre forze. Altre persone possono avere le risorse per fronteggiare
un pericolo che incombe, e magari sono disposte a metterle a nostra
disposizione.
Chiedere aiuto è la seconda possibilità. Per farlo occorre rinunciare ad un
po’ del nostro orgoglio e, affinché l’aiuto sia effettivo, scegliere bene a
chi chiederlo, e come.
Mi viene in mente infatti quella storiella un po’ greve nella quale un tale,
dopo aver subito una violenza da un aggressore, si rivolse ad un’altra
persona per essere soccorso, ma questa, approfittando della condizione di
debolezza del malcapitato, lo sottopose alla medesima violenza. Conviene
stare attenti!
Tutti possiamo avere bisogno di aiuto pertanto, oltre a poter contare
sull’affetto e l’amicizia delle persone care, si può fare affidamento sulla
reciproca possibilità di soccorso in momenti di bisogno. In questi casi le
cose vanno meglio se si sono fatti contratti chiari ed espliciti: "ti
aiuterò a preparare il tuo esame per il quale sei in difficoltà, se tu il
prossimo Natale mi darai una mano a ridipingere la mia stanza".
Occorre fare attenzione a coloro che offrono aiuto prima che sia richiesto:
conviene indagare bene cosa, consapevolmente o no, si aspettano in cambio.
Quando mi rispondono "ma niente, naturalmente", i miei sospetti hanno un
motivo in più. Se neppure l’aiuto di altre persone ci salvaguarda dai
pericoli e permane la paura per cose più grandi di noi, come gli eventi
sfavorevoli del caso o quelli naturali (malattia o morte), la cosa migliore
è provare ad essere saggi accettando i propri limiti e la propria fragilità.
Le nostre paure possono riferirsi ad eventi reali ed obiettivamente
pericolosi o legarsi a fantasie che appaiano pericolose solo
soggettivamente. Tutti possiamo incorrere in questo tipo di esperienze e
sentirci inspiegabilmente timorosi in relazione a motivi che altre persone
trovano inconsistenti. Se queste emozioni cominciano a dominare la nostra
vita, conviene consultare uno specialista di cure psicologiche.
La manifestazione estrema della paura è il terrore: il pericolo è grande,
imminente e grave.
Non è un’esperienza gradevole, solo quelli molto bravi riescono a gestirla.
La paura consente la nostra sopravvivenza pertanto è bene imparare a
considerarla una preziosa alleata che possiamo apprendere a gestire ed a
utilizzare per la nostra protezione.
IL DOLORE
Abitualmente chiamiamo
dolore quel senso di costrizione nel petto, mancanza di forze e desiderio di
chiuderci in noi stessi che proviamo quando perdiamo qualcuno, o qualcosa,
cui tenevamo molto.
La perdita può riguardare una persona importante nella nostra vita
affettiva, un lavoro che ci garantiva sicurezza economica, ma anche un
compagno di giochi con cui eravamo abituati a condividere esperienze
piacevoli.
Quando il vuoto lasciato da questa perdita permane a lungo e non riusciamo a
riempirlo, il dolore assume quella forma soffusa e durevole che chiamiamo
tristezza.
Negli articoli delle settimane precedenti abbiamo preso in considerazione in
primo luogo la rabbia, indicandola come reazione emotiva verso un danno e/o
una svalutazione, successivamente la paura che abbiamo posto in relazione ad
un pericolo. Ora, considerando il dolore la reazione emotiva ad una perdita,
completiamo il quadro di quelle che possiamo ritenere le nostre risposte più
profonde ad eventi esterni. Per fortuna rimane un’altra emozione, di gusto
gradevole e compagna della soddisfazione e dell’appagamento: la gioia, della
quale ci occuperemo la prossima settimana.
Consideriamo queste emozioni nella funzione "naturale": indicare
l’importanza di un evento (stiamo andando verso un crack finanziario, un
collega ci sta mettendo in cattiva luce oppure una persona cara è partita
per sempre) e sostenerci nel fare qualcosa d’adeguato per risolvere
l’emergenza che si è creata per noi (predisporre e attuare un riassetto
finanziario, mostrare chiaramente le nostre ragioni, ricercare nuove
conoscenze o approfondire quelle vecchie).
Esiste purtroppo anche un uso, o meglio, un abuso delle emozioni che
potremmo dire "tossico", l’argomento è vasto e, in questa sede, possiamo
accennarlo solo considerando un personaggio che, prima o poi, tutti abbiamo
incontrato: l’addolorato perenne, o la sua versione light, il sempre triste.
Un mio amico usa le notizie del giornale, opportunamente interpretate in
senso tragico e pessimista come l’iniezione di una dose quotidiana di dolore
da consumare fino alle prime ore del pomeriggio. Per la serata, la sua
tristezza è garantita dall’incomprensione della moglie. Penso a volte di
chiedergli che sogni faccia.
Che cosa possiamo fare per risolvere efficacemente la situazione di vuoto
creata da una perdita? Per spegnere la lacerante spia del dolore o quella
più tenue, ma opprimente, della tristezza?
I bambini che hanno la sventura di perdere la presenza della madre senza
trovare un valido sostituto, tendono a chiudersi e diventare abulici per
trattenere e sentire meglio se stessi, e ciò che rimane loro.
Anche gli adulti tendono a reagire ad una grave perdita nello stesso modo.
In questi difficili momenti, se abbiamo la fortuna di avere accanto persone
disponibili, possiamo chiedere loro conforto attraverso manifestazioni
affettuose ed amorevoli: un caldo abbraccio può alleggerire il dolore. Il
conforto peraltro è come un farmaco che fa scendere la febbre senza curare
veramente la malattia. E’ proprio il desiderio di far cessare la sofferenza,
invece, che ci spinge a cercare una compensazione. Un nuovo lavoro o un
amore nascente possono cancellare, lentamente o di colpo, la perdita subita
e, conseguentemente, la sofferenza dolorosa.
I più bravi nel cogliere ciò che c’è di buono nelle esperienze, possono
considerare che ad ogni perdita consegue almeno un aspetto positivo: creare
spazio per nuove esperienze. Costoro potranno reagire alle perdite non solo
con la tristezza, ma anche con quel sentimento di speranza che accompagna il
nascere di nuove opportunità.
E quando la perdita è veramente incolmabile ed insostituibile mentre la
strada per lo sconforto e la disperazione appare spianata? Se riusciamo ad
attivare la parte più matura e saggia di noi, abbiamo ancora una
possibilità: accettare i limiti stessi della vita e del mondo. Nella vita si
nasce, si opera e si muore (a volte anche precocemente) e noi esseri
viventi, in ultima analisi, non possiamo che accettare questi limiti.
L'AMICIZIA
L’amore ha un oggetto
di desiderio, l’affetto, un’affinità, quasi un’integrazione, con l’oggetto
mentre nell’amicizia l’oggetto del sentimento è "altro", ma sta dalla
nostra stessa parte.
Con un amico condividiamo desideri, interessi (per oggetti terzi), modi di
vedere il mondo, attività. Da lui ci aspettiamo che pensi, senta e faccia
come noi, con noi, per noi. Oppure in modo complementare a noi. Se ci
accorgiamo che desideriamo qualcosa di lui, di fatto, lo stiamo amando, se
cominciamo a vederlo come parte di noi, l’amicizia si sta trasformando in
affetto. L’amicizia può convivere con l’affetto e la gelosia, meno con
l’amore, mai con l’innamoramento.
Il sentimento dell’amicizia sostiene le alleanze, aiuta nelle angosce,
consente di sentirsi meno soli, a volte, ma non frequentemente, promuove la
realizzazione di progetti.
La strada per l’amicizia è preparata e favorita da quella sorta di proto
sentimento che chiamiamo simpatia.
Quando il sentimento dell’amicizia diviene risentimento acquista i connotati
del livore.
L’amicizia predilige i partner del medesimo sesso, per un’ovvia maggiore
difficoltà a condividere in pieno gli interessi del sesso diverso. Per un
uomo, quando non prevalga il desiderio sessuale, il sentimento verso una
donna somiglia più a quello verso una sorella che verso un’amica mentre le
vere amiche con cui si vada a letto sono tuttora un’interessante rarità. Lo
stesso vale reciprocamente per una donna.
Una buona amicizia non è fatta solo di buone azioni, si può competere,
misurarsi, gareggiare, sgomitare, sfottersi mentre è necessario stimarsi.
Le amicizie, come gli amori, durano finche durano gli interessi concreti o
psichici, che le sostengono.