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De Lucia & De Lucia

psicologi, psicoterapeuti ed analisti transazionali

Roma centro (Aventino - Piramide)

psicologi, psicoterapeuti ed analisti transazionali

Laboratorio di psicoterapia ed esperienze psicologiche


emozioni e sentimenti

 

 

LA GELOSIA

L’attaccamento alle proprie cose, alle persone vissute come proprie, alle opportunità che pensiamo di avere, si chiama gelosia. E’ un sentimento che delimita ciò che appartiene da ciò che è invece indifferente o estraneo. Come tale ha un’importante funzione nella mappa affettiva che orienta la nostra mente.
E’ un sentimento comune e naturale che condividiamo con molte specie animali, mentre la declinazione nei significati e nei comportamenti di ciascuno di noi può invece essere molto diversa. Vale a dire che quando si prova un sentimento di gelosia si può utilizzare, nell’ambito dell’organizzazione della personalità, in modo diverso, dando luogo a comportamenti differenti.
I sentimenti, come le emozioni, possono, infatti, essere utilizzati almeno in due modi diversi: per sostenere azioni opportune, o per "trastullarsi", stimolare, cioè, la propria vita emozionale. La gelosia non fa eccezione.
Se "toccano" qualcosa di mio, sento gelosia e reagisco in modo adeguato al contesto. Oppure utilizzo la gelosia per attivare la mia vita emozionale: eccitarmi, arrabbiarmi, addolorarmi, straziarmi… O anche sostenere dei significati utili all’economia della mia psiche, e mi dico: l’oggetto del mio amore vale, per cui anche altri lo desiderano; se altri vogliono le mie cose, vuol dire che sono importanti; se il mio amore mi tradisce, vuol dire che non valgo nulla…
Il sentimento della gelosia concentra l’attenzione sull’oggetto, perciò il mondo del geloso si restringe e la sua dipendenza dall’oggetto è evidente.
La gelosia non è separabile da un forte investimento di valore, e quindi emozionale su un oggetto (persona o cosa) mentre è più facile gestire adeguatamente questo sentimento quando gli investimenti e gli interessi sono diversificati.
L’evoluzione dei modelli di vita sociale ha molto cambiato i comportamenti generati dalla gelosia, e penso che ancora di più li cambierà nei prossimi anni.

L'INNAMORAMENTO

Capita che un desiderio disponga di noi, allora diciamo che siamo innamorati. Altrimenti disponiamo dei desideri per conoscere cosa abbia valore per noi e dove dirigerci. Nell’amore, negli affetti o nell’amicizia possediamo dei desideri, nell’innamoramento il desiderio possiede noi.
Recenti ricerche hanno ipotizzato che, nel periodo d’innamoramento, si attenuino, per via biochimica, le capacità critiche e razionali.
Il desiderio dell’innamorato è saziabile solo per tempi brevissimi, quelli in cui riesce a vedere nell’altro la fonte della propria felicità.
Questa suggestione è talmente seducente che resiste a lungo, anche quando i fatti quotidianamente la disconfermino. Gli occhi dell’innamorato si fanno però mesti e assenti, finché un istante d’illusione non li illumini in un attimo, per un attimo.
Sembra un’ironia, ma la condizione dell’innamorato è spesso un po’ buffa agli occhi di coloro che in quel momento ne sono indenni.
Altre ricerche indicano in diciotto mesi l’arco di tempo massimo in cui insistono le modificazioni biochimiche proprie dell’innamoramento.
L’esperienza di questo sentimento si esaurisce con la conquista dell’oggetto ispiratore o con la perdita della speranza di poterlo raggiungere.
La conquista dimostra che la felicità, cui l’innamorato agognava, non è stata trovata, perciò, in molti casi, ci si orienta verso obiettivi più concreti: matrimoni, figli, affari. Quando il sovraccarico depressivo derivante dall’eccesso di concretezza si farà intollerabile ci s’innamorerà di nuovo.
La perdita della speranza segue di solito un’esperienza traumatica in cui non si è potuto negare ulteriormente l’evidenza dei fatti. Sono in genere momenti duri, a volte però anche liberatori.
La partita che si gioca in questo sentimento prevede due ruoli diversi: l’inseguitore e l’inseguito. Solo il primo è il vero innamorato. Nel processo della vita, l’innamoramento consente di operare cambiamenti che in altre condizioni non saremmo capaci di compiere.

LA RABBIA

Quando il nostro cuore e la nostra mente reagiscono ad un evento, diciamo allora che stiamo provando un’emozione. Se il sangue bolle e le mascelle si contraggono mentre i pensieri corrono ad immagini di lotta o di vendetta, l’emozione che stiamo provando si chiama rabbia. Di solito ci arrabbiamo per un evento che vediamo come un danno o una svalutazione.
Accade quando un amico parla male di noi ingiustamente, mettendoci in cattiva luce con persone importanti, o dice una battuta mostrando a tutti una nostra debolezza.
L’emozione rabbia è utile al fine di attivare le energie necessarie per affrontare e, se possibile, cambiare situazioni sgradite. Quando siamo pressati dalla rabbia ciò che facciamo può essere corretto, improduttivo o dannoso, in relazione al risultato delle nostre azioni.
Che cosa possiamo fare quando siamo arrabbiati? In primo luogo possiamo lottare. E’ una reazione istintiva e primordiale.
Se ci stanno aggredendo fisicamente, può essere l’unica valida, dopo aver valutato la forza dell’avversario. A volte è infatti meglio fuggire spinti da una sana paura.
Possiamo altresì usare la rabbia per chiedere cambiamenti in modo chiaro e assertivo. E’ un comportamento efficace, a patto che si sia espliciti circa l’evento che si considera dannoso – "quando tu ritardi mezz’ora agli appuntamenti, io perdo inutilmente tempo (danno) e sento di non contare nulla per te (svalutazione) - nonché altrettanto chiari ed espliciti su ciò che chiediamo – pertanto ti chiedo d’essere puntuale!".
Imparare questo costruttivo modo d’uso della rabbia può favorire l’espressione in coloro che se la vietano, considerandola, in ogni caso pericolosa e distruttiva.
I ritardi dell’amico nell’esempio precedente possono essere in relazione a scelte profonde e inconsapevoli, in questo caso li vedremo certamente ripetersi. La questione può allora risolversi solo con una gestione saggia ed adulta: accettare i limiti e la personalità dell’altro, contenendo i danni per noi.
Possiamo considerare improduttiva la rabbia che ci teniamo dentro senza cambiare o accettare gli eventi sgraditi.
Taluni coltivano rancori e risentimenti per lunghi periodi fino a farne il sapore fondamentale della propria esistenza, l’angolo dove rifugiarsi, buio, ma conosciuto e rassicurante.
Altri, invece, esprimono la rabbia come se fosse l’unica emozione possibile. Un amico che ho frequentato per lungo tempo si mostrava arrabbiato sia quando era triste o impaurito, e non voleva che gli altri lo sapessero, sia quando era verosimilmente allegro e gioioso, ma sospettoso di ciò che gli altri potessero pensare di lui.
Singolare la situazione di colui che diventa il personaggio della rabbia. E’ il "giusto incazzato": appare perennemente scontento, tutto per lui è sempre sbagliato e da rifare, oppure, negando la complessità e le diverse interpretazioni possibili dei fatti della vita, si pone alla guida di un movimento e si oppone, sempre sacrosantamente "incazzato" ai soprusi ed alle ingiustizie, reali o immaginarie.
La società deve probabilmente molto alla loro perseveranza per la soluzione d’importanti problemi, ma certamente si tratta di un modo limitante ed unilaterale di vedere le esperienze della vita.
In conclusione, la rabbia può essere un’amica naturale e sostenerci nei confronti quotidiani così come ha sostenuto i nostri antenati nelle lotte contro animali feroci o nemici in battaglia. L’importante è evitare di confondere l’uso che faremmo della rabbia in una battaglia con quello opportuno per i nostri più complessi rapporti sociali.

AMORE E POTERE

"Comandare è meglio di f…... "afferma un detto popolare pieno di consapevolezza. Come dire che il potere è all’apice dei desideri, e deve avere un qualche rapporto con l'amore e con il sesso.
Il tema del potere, a lungo connotato ideologicamente, in effetti merita un esame pragmatico che ne definisca i contorni reali e pratici, almeno nelle relazioni private.
Gli psicologi hanno a lungo trascurato, paradossalmente, l’amore e il potere, forse perché sono le chiavi della vita psichica e pochi se la sono sentita di affrontare il nocciolo di tutte le questioni.
In questa rubrica, ho proposto qualche riflessione sull’amore, e torneremo sicuramente sull’argomento che appare davvero inesauribile. Proverò ora a fare qualche considerazione sul potere.
Possiamo affermare che il potere è la capacità di soddisfare i propri bisogni. Ha più potere chi si trova nella condizione più favorevole per far prevalere la propria aspirazione rispetto a quella di altri.
Il potere può essere concreto e supportato da una forza fisica, oppure psicologico, legato alla percezione reciproca dei bisogni.
In qualsiasi relazione tende ad avere più potere chi ha, o percepisce, meno bisogni.
L’amore, quando inteso come sentimento altruista, è un concetto che serve ad attenuare la durezza della matematica del potere, non so se esista davvero come sentimento, o sia solo un concetto.
Nelle relazioni amorose, quelle caratterizzate dal desiderio, l’ampiezza del proprio tende a consegnare potere al partner, che in relazione alla propria percezione lo userà secondo il proprio stile personale.
Le leggi e le norme servono apposta per temperare gli squilibri di potere fra i soggetti che si trovano invece in relazione d’interesse.
Le relazioni d’amore sono caratterizzate dal fatto che l’oggetto del desiderio, e del contendere, è l’altro. In quelle d’interesse, è un oggetto terzo.
Il potere è in qualche modo l’interfaccia dell’amore (inteso come desiderio).
Non è un sentimento, è un’opportunità, una potenzialità, che può essere fruita o meno.

AMORE (E BATTAGLIE)

"In battaglie d’amor vince chi fugge". Questo si sa, ma cosa decide chi insegue, e chi fugge?
La "prova del fuoco".
All’inizio, i due vanno uno verso l’altro. Prevale la ricerca del piacere, il gioco è ludico.
Poi, uno si ferma, fa un passo indietro, l’altro si sgomenta e… lo insegue.
Se l’inseguimento si ripete ancora una o due volte, i ruoli reciproci sono decisi. Il gioco è fatto.
Oppure, l’altro resta immobile o fa, a sua volta, un passo indietro.
Si possono allora avere: la rottura del rapporto, poiché nessuno dei due ha superato la prova, oppure un capovolgimento della situazione, ove il primo, che aveva osato indietreggiare, in relazione alla reazione dell’altro, non riesce a sostenere la propria mossa e, a sua volta, inizia un inseguimento.
Anche in questo caso, di solito, il gioco è fatto.
Il passo indietro si fa attraverso un silenzio, una stranezza, un’incoerenza o una cattiveria.
Perché si sottopone l’altro a questa prova? Per verificare se potremo contare su di lui oltre i limiti della reciprocità, cioè per stabilire chi guiderà o comanderà e chi invece pagherà i conti. E soprattutto, chi soffrirà.
Il gioco amoroso, da ludico, diviene gioco di potere.
Si fa per proteggere la propria insicurezza o per dare sfogo alla prepotenza, ma anche, come direbbe un antropologo, per garantire un genitore davvero affidabile per i propri figli.
Le vicende descritte accadono, comunemente, al di fuori della piena consapevolezza degli interessati, che le attuano guidati da programmi biologici e culturali arcaici.

L'INVIDIA

L’invidia è considerata un sentimento disdicevole. L’invidioso, d’altra parte, si comporta spesso in modo antipatico. Appare ombroso, viscido e maldicente, in contrasto con la solarità del più fortunato invidiato. Tutti noi, pertanto, siamo portati a pensare che l’invidia sia un sentimento di bassa lega. E’ bene però ragionarci un po’ sopra.
Parliamo abitualmente di sentimenti "buoni" e "cattivi", come se l’evoluzione avesse selezionato adattamenti positivi e negativi, mentre è più ragionevole pensare che questi siano né buoni né cattivi, quanto piuttosto tutti funzionali allo sviluppo della vita.
L’invidia ha una sua funzione: mobilita energie con riferimento ai migliori. Contribuisce così a riequilibrare lo sviluppo degli individui e a contenere le distanze fra loro.
Altro discorso è cosa facciamo di queste energie. Le impieghiamo per migliorarci o per intralciare i migliori? Qui si pone allora una questione etica, ma anche razionale, di buoni o cattivi comportamenti, o meglio di azioni costruttive e distruttive.
Ciò vale ovviamente per tutti i sentimenti, e per le emozioni. Ciò che proviamo non implica, infatti, una responsabilità diretta, che appare invece evidente in relazione agli obiettivi e ai modi delle azioni che mettiamo in atto, spinti da questi sentimenti Quindi non un sentimento disdicevole in se, ma un sentire che può dare luogo ad atti discutibili.
Le emozioni e sentimenti ci fanno conoscere la risonanza che un evento, o una persona, ha dentro di noi mentre rendono disponibili energie per agire in funzione di questa risonanza.
L’invidia ci parla delle qualità che desidereremmo avere, come delle cose che vorremmo possedere. Se la sappiamo accogliere in un’ottica costruttiva, ci può dare energia fino, magari, a raggiungere queste qualità o cose.
Ponendoci in un atteggiamento distruttivo, l’energia sarebbe utilizzata per ridurre il vantaggio che vediamo nell’altro, togliendo a lui qualcosa piuttosto che aggiungerla a noi.

AMORE (E SOFFERENZA)

Siamo abituati a considerare l’amore un mistero. Ci accontentiamo di sapere ciò che appare ovvio mentre affidiamo ogni ulteriore conoscenza ai miti, fin troppo ingannevoli, della cultura romantica dell’ottocento. Persino gli esperti hanno disertato a lungo l’argomento, eppure i fatti amorosi rendono bella, o brutta, la nostra vita più di molti altri, perciò una riflessione appare appropriata.
Provare a chiarire il senso (la finalità) del sentimento amoroso non è cosa che si possa fare in poche righe, si può invece considerarne un aspetto e tentare di affermare qualcosa che... stia in piedi.
L’esperienza di psicoterapia, oltre quella personale, mi conferma un diffuso interesse circa la possibilità di contenere la sofferenza amorosa. E’ un aspetto che vale la pena di approfondire, in questo e in successivi articoli.
Ripensando alle storie d’amore che conosciamo, di solito, accanto alla felicità, troviamo dolorose rincorse di mete irraggiungibili e sordi, o furiosi, risentimenti.
La sofferenza amorosa è vecchia come la storia dell’uomo e non sembra siano state proposte finora cure veramente efficaci. Si può fare però qualcosa di più sul piano della… prevenzione.
In amore si soffre per un’attesa delusa.
Forse la porta d’ingresso del disagio è proprio la qualità delle aspettative.
Chi ama, e più ancora chi s’innamora, ha dei desideri. Non potrebbe essere altrimenti, poiché il gran coinvolgimento che accompagna queste vicende, è dato proprio dal fatto che sono in gioco nostre aspirazioni profonde.
Presentarsi all’appuntamento della partita amorosa prendendo troppo sul serio la possibilità di dare piena risposta a queste, pur legittime, aspirazioni può risultare un comportamento…a rischio. Non tanto perché questo mondo sia una valle di lacrime, o a causa della cattiveria e follia del partner, quanto poiché non abbiamo, forse, abbastanza riflettuto circa il tipo di partita che stiamo giocando.
Il "problema" è che la persona amata ha, anche lei, delle legittime aspettative mentre non è per niente detto che siano complementari alle nostre, o che lo siano nella misura capace di soddisfare in pieno i nostri desideri. Ammesso che continueremmo a sentirci innamorati se questi fossero completamente soddisfatti.
Complica le cose il fatto che non sempre i desideri sono vissuti con carattere di reciprocità: voglio che tu sia "tutta" mia; non desidero però essere proprio "tutto" tuo.
Diviene allora necessario giocare una partita. Come in tutte le partite sarebbe comico pensare che l’altro giocatore giochi per far vincere noi, anche se proprio questo sembra essere il sogno dell’innamorato. Il gioco interessa entrambi, ma ciascuno gioca per se.
Chi ama vede troppo spesso questo "essere altro" del partner come un insulto alla bellezza dell’amore e ne soffre, con rabbia o con dolore.
Per soffrire meno, bisogna quindi amare meno? Forse. Oppure correggere l’aspettativa che l’amore possa essere una cosa ci aiuti a prendere sonno…

SENTIMENTI E RISENTIMENTI

Proviamo un sentimento verso un "oggetto" (persona, cosa o situazione) quando questo ci appare gradito e desiderato, o l’esatto contrario. Stiamo parlando, ad esempio, dell’amore e dell’odio. Ogni sentimento ha un’aspirazione: possedere, toccare, manipolare oppure allontanare, distruggere. Le aspirazioni deluse danno luogo ad un risentimento.
I sentimenti e i risentimenti sostengono le relazioni, con una differenza. I primi spingono ad agire, i secondi alla passività.
L’amore e l’odio sono sentimenti che rendono attivi per conquistare e mantenere oppure sconfiggere e annullare. Hanno in comune il relativo risentimento che chiamiamo rancore.
Come può avvenire che l’amore o l’odio si trasformino in rancore?
Accade quando le aspirazioni che attivavano il sentimento non trovano riscontro coerente in tutte le manifestazioni dell’altro. Cosa che ricorre con una certa facilità proprio perché quest’ultimo è "altro" rispetto alle aspirazioni suddette, che sono invece "tutt’uno" col titolare del sentimento.
Nessuno appare più colpevole di chi non condivide le nostre aspirazioni, pertanto il risentimento, che nasce da questa delusione, fatalmente assume una forma incriminante.
I rancorosi restano attaccati, non vanno per la loro strada, sono passivi e ostacolanti, a volte deperiscono fisicamente.
Cosa si può fare per evitare questo rischio di... deperire?
La soluzione non è né facile né spontanea: occorre imparare a dare minore importanza ai propri desideri "progressi" e maggiore a quanto di gradito troviamo nell’altro. Chi riesce soffre meno e gioisce di più, quindi difficilmente se ne pente.
Cosa fare invece per gestire una persona risentita?
Se il risentimento è un suo stato d’animo abituale e preferito, c’è poco da fare: meglio ignorare e frequentare persone diverse. Se invece non è così grave, si può provare con un sorriso in più.

IL RANCORE

L'amore può esistere senza l'odio e viceversa. La domanda presuppone una buona consapevolezza circa la complessità dei fatti affettivi. In primo luogo, occorre riconoscere che difficilmente proviamo un solo sentimento per volta, ma che il nostro sentire fa più spesso riferimento ad in mix d'affetti diversi, anche contrastanti. Accostare amore e odio rivela come questi due sentimenti siano frequentemente le facce di una stessa medaglia. Sono, infatti, sostenuti da uno stesso desiderio, che può essere accolto o respinto.
All'amore deluso subentra il rancore (risentimento), che si manifesta con un'ostentata passività indispettita, ma la delusione può anche dare luogo ad una reazione attiva, sostenuta dall'odio (sentimento). La questione evidentemente si complica, pertanto proverò a facilitarene la comprensione attraverso uno schema, anche se la realtà abitualmente non si propone con un andamento così semplificato. Diciamo che: quando ho un desiderio relativo ad un oggetto (persona, cosa o situazione) provo amore verso lo stesso mentre credo che la mia aspirazione sarà accolta, e odio quando non ci credo. Nel frattempo sono attivo con modi che sono insieme affettivi e aggressivi. Se perdo fiducia, l'amore e l'odio si trasformano in rancore e passività.
Certo il mio vissuto sarà sfumato da considerazioni di buon senso. educazione e razionalità, ma i sentimenti e i risentimenti saranno in sostanza quelli indicati. E se acquisto invece maggiore fiducia? Cresce allora la situazione di benessere in relazione a quell'oggetto: il sentimento si attenua (sosteneva la ricerca di qualcosa che sto trovando), subentra piacere, appagamento, serenità e... possibilità di dedicarsi ad altre cose, senza dover interrompere il feeling con le prime.
E' la situazione che comunemente noi romani sperimentiamo verso la rosetta, il pane di Roma. Essendo facilmente disponibile, la mangiamo con piacere tutti i giorni senza avvertire particolari coinvolgimenti, che invece potrebbero farsi più evidenti nel caso di uno sciopero di tre giorni dei fornai, o più semplicemente se manchiamo dalla nostra città per un po' di tempo.

EMOZIONI, SENTIMENTI E STATI D'ANIMO

Qual’è la differenza fra sentimenti ed emozioni?

Questi vissuti sono un po’ il "sale" della vita, perciò la domanda è un ottimo spunto per approfondire distinzioni di significato che spesso risultano trascurate mentre sono molto utili per una migliore comprensione dei fatti emotivi.
Con emozione (moto dell’animo) indichiamo ciò che proviamo reagendo ad uno stimolo, anzi meglio al significato che attribuiamo allo stesso. Abbiamo quindi il riconoscimento del valore da noi attribuito ad un evento e immediatamente una risposta emotiva che interessa il nostro corpo.
Il senso (la finalità) più evidente delle emozioni appare quello di stimolare un’adeguata reazione comportamentale. Mi accorgo di un pericolo, provo paura, scappo, chiedo aiuto o mi difendo. Un evento mi apre nuove interessanti opportunità, provo gioia e corro a condividerla con i miei amici più cari.
Esistono altresì fenomeni reattivi molto rapidi, essenziali per la sopravvivenza, attraverso i quali reagiamo anche prima di un riconoscimento, pienamente cosciente, degli stimoli, ma in questi casi non parliamo propriamente di emozioni.
Ci siamo specificamente occupati negli articoli apparsi le scorse settimane delle principali emozioni (paura, rabbia, dolore e gioia), ora vale la pena di affermare che le stesse hanno un carattere individuale sia nell’attribuzione del significato conferito agli eventi stimolo sia nell’intensità, e modo, della riposta corporea.
Mentre le emozioni puntualizzano la nostra reattività agli eventi della vita, i sentimenti accompagnano in maniera più duratura gli investimenti affettivi che operiamo intorno a noi. Chiamiamo, infatti, sentimento ciò che proviamo verso un "oggetto", persona, cosa o situazione che assuma un valore relativamente stabile per noi, o meglio, in relazione ai nostri bisogni e desideri. Sono sentimenti l’amore, l’innamoramento, l’odio, l’invidia, la gelosia. La funzione dei sentimenti appare verosimilmente quella di sostenere questi investimenti.
Per chi apprezza le metafore informatiche, i sentimenti sono, di solito, come delle icone, presenti con discrezione se stiamo vivendo altre esperienze o ci stiamo occupando di altro, ma attivabili facilmente qualora la situazione lo renda opportuno. Quando un sentimento invade prepotentemente la nostra vita parliamo di una passione.
Gli stati d’animo hanno apparentemente una natura più rarefatta mentre sono importantissimi poiché accompagnano emotivamente il senso che attribuiamo alle situazioni ed in definitiva alla vita stessa. Sono coerenti con le nostre opinioni e decisioni più profonde e spesso, come queste, sono stabili e impermeabili. Se i nostri stati d’animo abituali non ci piacciono, sono probabilmente proprio le opinioni e decisioni centrali che dobbiamo verificare, magari con la consulenza di un esperto.
Imparare a riconoscere i vari aspetti della vita emozionale aiuta a gustarla meglio, un po’…come imparare a gestire il sale in cucina.

L'AMORE

Quando in una conversazione dico che mi occupo di sentimenti, so già quale sarà la domanda che mi sarà rivolta di lì a poco: "Che cosa è l’amore?". Domanda che non è esattamente come chiedere: "Che ore sono?".
Ogni forma di conoscenza ha un carattere arbitrario, relativo alla soggettività di chi la costruisce. La conoscenza relativa all’amore sconta questa soggettività più di quanto non avvenga per ogni altro argomento.
L’amore è un processo che vede coinvolti due, o più, soggetti in pensieri, sentimenti e azioni. Per capire il senso e gli avvenimenti di questo processo, occorre innanzi tutto stabilire chi sia il "soggetto".
Può essere: la natura, che, per i suoi fini, attraverso l’amore, spinge gli uomini a…
Amore, entità metafisica capace di colpire le menti e i cuori, che modifica il corso della vita dei fortunati, o malcapitati, a suo piacimento; le persone coinvolte, come solo la proiezione dei propri desideri su un’altra persona può coinvolgere, che agiscono in funzione dei propri desideri.
Queste ultime appaiono come i soggetti più reali e concreti. Soggetti parzialmente autonomi, orientati dalla natura verso percorsi amorosi affettivi e sessuali, in parte codificati dai geni e dalla cultura.
Se i soggetti sono le persone interessate, in prima istanza è verosimile che queste agiscano in funzione di proprie aspirazioni soggettive, o almeno cosi vivono i programmi che la natura ha messo dentro di loro.
Che cosa fanno le persone in amore? Desiderano, anelano, cercano qualcosa che evidentemente pensano di non avere, o di non avere appieno.
Fino a quando? Fino a quando non la ottengono, allora si sentono sazi, e la sazietà satura l’amore che può divenire affetto o indifferenza..
Quando invece si rendono conto che non riusciranno ad ottenerla, il risentimento e l’odio prendono il posto l’amore.
Cosa si desidera in amore? Ciò che, siamo convinti, ci renderà felici per sempre.
Ma l’amore è più vicino all’altruismo o all’egoismo? Anche se tutti i seduttori affermano "lo faccio per te", è più verosimile che lo facciano per…se.

LA GIOIA

Le emozioni ci spingono ad agire per soddisfare i nostri bisogni e desideri. La rabbia ci fornisce la forza per difendere i nostri interessi; la paura dona velocità alla fuga da seri pericoli, o c’induce a chiedere aiuto per fronteggiarli. Infine il dolore e la tristezza ricordano che il vuoto lasciato da chi abbiamo amato chiede di essere riempito.
Queste emozioni sono importanti ed essenziali, ma non si può affermare che siano esattamente piacevoli.
Ora, invece, prendiamo in considerazione un’esperienza dichiaratamente godibile: la gioia.
Quest’emozione va considerata – a mio avviso – distinta dallo stato di soddisfazione, che si prova quando un bisogno o un desiderio sono stati soddisfatti.
La gioia sollecita, infatti, nuove azioni piuttosto che prendere atto di quelle già compiute con successo. Attiva la mente ed il corpo per "andare avanti". Si prova quando un evento, a lungo ricercato o improvviso, risulta favorevole alla realizzazione di un obiettivo importante o di un sogno. Grande è la gioia di colui che consegue una laurea e pensa alla possibilità di una brillante carriera in una vita adulta ed indipendente. Ricevere un’eredità che moltiplichi le nostre possibilità economiche, incontrare uno sguardo che prometta piacevoli disponibilità future o scoprire in un libro risposte ad antichi interrogativi suscita quell’emozione che può darci l’energia e la voglia di cogliere le opportunità che si presentino.
La gioia si accompagna naturalmente al desiderio di condividere con le persone vicine le buone novità: "Sai mi sposo", "ho un nuovo lavoro", "ho vinto alla lotteria".
Ciò è molto importante poiché, se la gioia ci spinge ad andare avanti, è opportuno comunicare agli altri il nostro desiderio di portarli con noi piuttosto che lasciarli indietro.
La preoccupazione per azioni malvagie di altri spinti da invidia o competitività, induce molti a tenere la gioia dentro di sé trovando più prudente mostrarsi indifferenti, scontenti o preoccupati.
Alcune persone, forse in attesa di essere compensate con una gioia futura più grande, accettano quei messaggi della nostra cultura che colpevolizzano il piacere e la gioia mentre si sforzano di nasconderla anche a se stessi.
Per accedere pienamente alla gioia, occorre accettare che la propria crescita può lasciare momentaneamente indietro altri mentre quella altrui può farci sentire in svantaggio. Se la gioia punteggia la crescita di una persona, questa ha maggiori possibilità di autorizzarsi a viverla assumendo la convinzione che valorizzare la propria esperienza e cogliere le opportunità è meglio che rimpiangere ciò che avremmo potuto fare per noi stessi e per gli altri. Coloro che si orientano in questo modo di solito hanno gran fascino e riescono a suscitare, attraverso i loro autentici inviti alla condivisione della propria gioia, più ammirazione che invidia.
E i buontemponi che ridono sempre? Meglio diffidare. A questo mondo non mi sembra che ci sia sempre da ridere. Lo sanno bene i confidenti e gli psicoterapeuti che si prendono cura, per amicizia o per mestiere, della depressione nascosta di queste maschere dell’allegria.
Per fortuna, molte persone, seguendo un positivo evolversi della nostra cultura, mi sembra stiano imparando a gioire schiettamente delle nuove opportunità. Sta a noi scegliere di essere fra queste.

LA PAURA

La mente e il corpo reagiscono agli stimoli con un insieme di sensazioni che assumono per noi un significato. Chiamiamo emozione, moto dell’animo, questa esperienza.
I più comuni segnali di quell’emozione a cui abbiamo dato il nome di paura sono noti a tutti: tremori, rigidità muscolare, secchezza delle fauci, pallore, sudorazione.
La paura è l’emozione che ci avverte di un pericolo sollecitandoci ad intervenire per proteggerci e difenderci, pertanto è utile, anzi necessaria. Se non ci fosse, saremmo portati a correre con indifferenza gravi rischi e la nostra stessa sopravvivenza potrebbe risultare compromessa. Provate infatti ad immaginarvi alla guida di un’auto completamente privi della paura: al primo semaforo potrebbe anche andar bene, al secondo… forse, al terzo!…
Gli uomini senza paura hanno lunga vita solo nei film.
Come una spia luminosa, la paura ci segnala pericoli evidenti e nascosti spingendoci a ricercare una difesa adeguata.
Quanti modi abbiamo per provvedere quando ci appare il segnale di questa spia luminosa? Almeno tre. Il primo è scappare: la fuga è la risposta più immediata di fronte ad un pericolo imminente, ed in molti casi risulta appropriata ed efficace. Se siamo aggrediti da chi è più forte di noi, tanto da rendere inutile ogni difesa, la fuga consente di salvaguardare la nostra integrità. Possiamo per altro, allo stesso modo, sfuggire situazioni sociali o circostanze che comportino gravi rischi per noi.
In molti casi una difesa è possibile a patto di non ostinarci a contare solo sulle nostre forze. Altre persone possono avere le risorse per fronteggiare un pericolo che incombe, e magari sono disposte a metterle a nostra disposizione.
Chiedere aiuto è la seconda possibilità. Per farlo occorre rinunciare ad un po’ del nostro orgoglio e, affinché l’aiuto sia effettivo, scegliere bene a chi chiederlo, e come.
Mi viene in mente infatti quella storiella un po’ greve nella quale un tale, dopo aver subito una violenza da un aggressore, si rivolse ad un’altra persona per essere soccorso, ma questa, approfittando della condizione di debolezza del malcapitato, lo sottopose alla medesima violenza. Conviene stare attenti!
Tutti possiamo avere bisogno di aiuto pertanto, oltre a poter contare sull’affetto e l’amicizia delle persone care, si può fare affidamento sulla reciproca possibilità di soccorso in momenti di bisogno. In questi casi le cose vanno meglio se si sono fatti contratti chiari ed espliciti: "ti aiuterò a preparare il tuo esame per il quale sei in difficoltà, se tu il prossimo Natale mi darai una mano a ridipingere la mia stanza".
Occorre fare attenzione a coloro che offrono aiuto prima che sia richiesto: conviene indagare bene cosa, consapevolmente o no, si aspettano in cambio. Quando mi rispondono "ma niente, naturalmente", i miei sospetti hanno un motivo in più. Se neppure l’aiuto di altre persone ci salvaguarda dai pericoli e permane la paura per cose più grandi di noi, come gli eventi sfavorevoli del caso o quelli naturali (malattia o morte), la cosa migliore è provare ad essere saggi accettando i propri limiti e la propria fragilità.
Le nostre paure possono riferirsi ad eventi reali ed obiettivamente pericolosi o legarsi a fantasie che appaiano pericolose solo soggettivamente. Tutti possiamo incorrere in questo tipo di esperienze e sentirci inspiegabilmente timorosi in relazione a motivi che altre persone trovano inconsistenti. Se queste emozioni cominciano a dominare la nostra vita, conviene consultare uno specialista di cure psicologiche.
La manifestazione estrema della paura è il terrore: il pericolo è grande, imminente e grave.
Non è un’esperienza gradevole, solo quelli molto bravi riescono a gestirla.
La paura consente la nostra sopravvivenza pertanto è bene imparare a considerarla una preziosa alleata che possiamo apprendere a gestire ed a utilizzare per la nostra protezione.

IL DOLORE

Abitualmente chiamiamo dolore quel senso di costrizione nel petto, mancanza di forze e desiderio di chiuderci in noi stessi che proviamo quando perdiamo qualcuno, o qualcosa, cui tenevamo molto.
La perdita può riguardare una persona importante nella nostra vita affettiva, un lavoro che ci garantiva sicurezza economica, ma anche un compagno di giochi con cui eravamo abituati a condividere esperienze piacevoli.
Quando il vuoto lasciato da questa perdita permane a lungo e non riusciamo a riempirlo, il dolore assume quella forma soffusa e durevole che chiamiamo tristezza.
Negli articoli delle settimane precedenti abbiamo preso in considerazione in primo luogo la rabbia, indicandola come reazione emotiva verso un danno e/o una svalutazione, successivamente la paura che abbiamo posto in relazione ad un pericolo. Ora, considerando il dolore la reazione emotiva ad una perdita, completiamo il quadro di quelle che possiamo ritenere le nostre risposte più profonde ad eventi esterni. Per fortuna rimane un’altra emozione, di gusto gradevole e compagna della soddisfazione e dell’appagamento: la gioia, della quale ci occuperemo la prossima settimana.
Consideriamo queste emozioni nella funzione "naturale": indicare l’importanza di un evento (stiamo andando verso un crack finanziario, un collega ci sta mettendo in cattiva luce oppure una persona cara è partita per sempre) e sostenerci nel fare qualcosa d’adeguato per risolvere l’emergenza che si è creata per noi (predisporre e attuare un riassetto finanziario, mostrare chiaramente le nostre ragioni, ricercare nuove conoscenze o approfondire quelle vecchie).
Esiste purtroppo anche un uso, o meglio, un abuso delle emozioni che potremmo dire "tossico", l’argomento è vasto e, in questa sede, possiamo accennarlo solo considerando un personaggio che, prima o poi, tutti abbiamo incontrato: l’addolorato perenne, o la sua versione light, il sempre triste. Un mio amico usa le notizie del giornale, opportunamente interpretate in senso tragico e pessimista come l’iniezione di una dose quotidiana di dolore da consumare fino alle prime ore del pomeriggio. Per la serata, la sua tristezza è garantita dall’incomprensione della moglie. Penso a volte di chiedergli che sogni faccia.
Che cosa possiamo fare per risolvere efficacemente la situazione di vuoto creata da una perdita? Per spegnere la lacerante spia del dolore o quella più tenue, ma opprimente, della tristezza?
I bambini che hanno la sventura di perdere la presenza della madre senza trovare un valido sostituto, tendono a chiudersi e diventare abulici per trattenere e sentire meglio se stessi, e ciò che rimane loro.
Anche gli adulti tendono a reagire ad una grave perdita nello stesso modo. In questi difficili momenti, se abbiamo la fortuna di avere accanto persone disponibili, possiamo chiedere loro conforto attraverso manifestazioni affettuose ed amorevoli: un caldo abbraccio può alleggerire il dolore. Il conforto peraltro è come un farmaco che fa scendere la febbre senza curare veramente la malattia. E’ proprio il desiderio di far cessare la sofferenza, invece, che ci spinge a cercare una compensazione. Un nuovo lavoro o un amore nascente possono cancellare, lentamente o di colpo, la perdita subita e, conseguentemente, la sofferenza dolorosa.
I più bravi nel cogliere ciò che c’è di buono nelle esperienze, possono considerare che ad ogni perdita consegue almeno un aspetto positivo: creare spazio per nuove esperienze. Costoro potranno reagire alle perdite non solo con la tristezza, ma anche con quel sentimento di speranza che accompagna il nascere di nuove opportunità.
E quando la perdita è veramente incolmabile ed insostituibile mentre la strada per lo sconforto e la disperazione appare spianata? Se riusciamo ad attivare la parte più matura e saggia di noi, abbiamo ancora una possibilità: accettare i limiti stessi della vita e del mondo. Nella vita si nasce, si opera e si muore (a volte anche precocemente) e noi esseri viventi, in ultima analisi, non possiamo che accettare questi limiti.

L'AMICIZIA

L’amore ha un oggetto di desiderio, l’affetto, un’affinità, quasi un’integrazione, con l’oggetto mentre  nell’amicizia l’oggetto del sentimento è "altro", ma sta dalla nostra stessa parte.
Con un amico condividiamo desideri, interessi (per oggetti terzi), modi di vedere il mondo, attività. Da lui ci aspettiamo che pensi, senta e faccia come noi, con noi, per noi. Oppure in modo complementare a noi. Se ci accorgiamo che desideriamo qualcosa di lui, di fatto, lo stiamo amando, se cominciamo a vederlo come parte di noi, l’amicizia si sta trasformando in affetto. L’amicizia può convivere con l’affetto e la gelosia, meno con l’amore, mai con l’innamoramento.
Il sentimento dell’amicizia sostiene le alleanze, aiuta nelle angosce, consente di sentirsi meno soli, a volte, ma non frequentemente, promuove la realizzazione di progetti.
La strada per l’amicizia è preparata e favorita da quella sorta di proto sentimento che chiamiamo simpatia.
Quando il sentimento dell’amicizia diviene risentimento acquista i connotati del livore.
L’amicizia predilige i partner del medesimo sesso, per un’ovvia maggiore difficoltà a condividere in pieno gli interessi del sesso diverso. Per un uomo, quando non prevalga il desiderio sessuale, il sentimento verso una donna somiglia più a quello verso una sorella che verso un’amica mentre le vere amiche con cui si vada a letto sono tuttora un’interessante rarità. Lo stesso vale reciprocamente per una donna.
Una buona amicizia non è fatta solo di buone azioni, si può competere, misurarsi, gareggiare, sgomitare, sfottersi mentre è necessario stimarsi.
Le amicizie, come gli amori, durano finche durano gli interessi concreti o psichici, che le sostengono.